Post domenicale #4
A proposito del solstizio d’inverno che cade oggi nell’emisfero Nord, di un 2025 che si chiude con un senso di grande stanchezza e un 2026 carico di insidie e, boh, chissà, vattelapesca come sarà.
Anche per questo 2025 è così arrivato il giorno più corto dell’anno dell’emisfero Nord, nell’occasione di nuovo il 21 dicembre. Data che, sempre nel nostro emisfero, segna pure l’inizio dell’inverno astronomico. Di conseguenza, se da un lato, scavallati Natale e Capodanno (si spera senza particolari traumi), piano piano cominceremo a riavere giornate più lunghe, fonte di rinnovata energia e speranza dopo settimane di crescente buio esteriore (onnipresenti e fastidiose luminarie a parte) e, vuoi o non vuoi, parzialmente anche interiore, da un altro andremo – o quantomeno dovremmo andare – verso accentuate condizioni di maltempo, o se non altro un freddo sempre più pungente, per una mesata o due. E se per la prima condizione c’è unanimemente da rallegrarsi, per la seconda è più una questione di gusti e abitudini personali.
Per quanto mi riguarda, andare verso un freddo maggiore, con la possibilità magari di qualche nevicata anche a quote medio-basse, non mi dispiace: preferisco giornate rigide che inducano a starsene il più possibile dentro casa, anziché giracchiare a vuoto di qua e di là, e, senza arrivare a forme di vero letargo e totale inattività lavorativa ed extra-lavorativa, permettano di riconfigurare mentalmente se stessi in vista dei nuovi impegni che, presto o tardi (diciamo, da metà o fine gennaio in avanti, al più febbraio-marzo), torneranno immancabilmente all’ordine del giorno.
È con tale spirito che scrivo perciò questo ultimo post domenicale del 2025; ovvero, con l’idea di far prendere anche a questo spazio un periodo più o meno prolungato di riposo e silenzio. La verità è che, se nel 2024 giungevo a fine anno ancora abbastanza carico, in parte inebriato anche della nuova esperienza con Substack, in questo 2025 no, arrivo al solstizio d’inverno con le pile quasi completamente scariche.
Una condizione che, purtroppo, non credo riguardi solo me.
Non ho intenzione di fare bilanci di fine anno, ma, oggettivamente, poco permette di dire che sia stato un 2025 spettacolare. Se lo è stato, è perlopiù in senso negativo, viceversa non ci sarebbe questo avvilimento finale ampiamente maggioritario, checché si voglia dare a intendere diversamente.
Allo stesso modo, non ho intenzione di formulare propositi particolari per l’imminente 2026, a differenza del dicembre scorso o di anni precedenti ancora. Personalmente, il 2026 è un anno che temo molto, e non solo perché segnerà – sperando di farcela – l’ingresso nella mia settima decade di vita. Lo vedo come un anno carico di incognite e di insidie, su tutti i fronti, dal personale al generale, dal locale al mondiale, dal professionale al sentimentale ecc. ecc.
È anche per questo che ritengo di estrema importanza cercare di dedicare le settimane a cavallo tra questo solstizio d’inverno e l’inizio del nuovo anno a un’opera sostanziale di ricentratura di se stessi, recuperando energie o sperperandone il meno possibile, a livello tanto fisico quanto mentale: nel 2026 ce ne sarà un gran bisogno.
Chiudo perciò questo post senza consigli di lettura o simili, ma semplicemente con lo stesso augurio formulato da Robert Reich nella sua ultima newsletter:
May you find joy and rest in this holiday season. May you recharge your batteries for the struggle ahead.


