Post domenicale #2
A proposito di (non) regolarità dei post e dei 70 anni del settimanale «L’Espresso», con la riproposta di un articolo di costume del 17 novembre 1957, sul “cattivo” marito italiano
Dare il via a una serie di post intitolati “Post domenicale #x” non significa che ogni domenica si sia poi obbligati a scrivere e pubblicare un post. Per il proprio bene e anche di chi legge, si scrive e si pubblica solo se e quando uno sente di avere qualcosa di significativo da dire o proporre, dunque senza alcuna regolarità, tanto più se l’intera faccenda è a titolo gratuito.
Rimando, al riguardo, a un post recente di Francesco Farabegoli.
Fatta tale premessa, questa domenica non avrei avuto nulla di significativo da dire o proporre, quindi mi sarei potuto e dovuto astenere dallo scrivere e pubblicare un nuovo post domenicale. Qualche giorno fa mi è però capitato di vedere in un telegiornale – forse su Canale 5 – un servizio sui 70 anni del settimanale «L’Espresso», il cui primo numero uscì il 2 ottobre 1955.1
Mi sono così ricordato che un paio di anni fa, a uno dei mercatini dell’antiquariato che il terzo fine settimana di ogni mese si tengono ad Ascoli Piceno, in un impeto di collezionismo avevo comprato due vecchissime copie proprio dell’«Espresso», affascinato soprattutto dal loro formato lenzuolo (mantenuto fino al marzo 1974, quando il settimanale assunse l’attuale dimensione tabloid). Le ho ritirate fuori, allora, e dopo aver dato loro una rapida scorsa ho pensato che valesse la pena riproporre integralmente la pagina di apertura del numero uscito il 17 novembre 1957: un articolo di costume sul “cattivo” marito italiano, propiziato dalla fresca separazione di Ingrid Bergman da Roberto Rossellini. Così, giusto per avere un assaggio di come si viveva – e scriveva – all’epoca e fare magari dei raffronti con l’oggi, per capire se o di quanto sia davvero cambiata la realtà quotidiana, sia nel costume sia nella scrittura.
Buona domenica!
L’italiano è un cattivo marito?
Dopo la separazione della Bergman da Rossellini
| «L’Espresso», 17 novembre 1957 |
Roma. L’italiano è un cattivo marito? È una domanda che, dopo la separazione di Ingrid Bergman da Roberto Rossellini, diventa ancora una volta d’attualità. In questo momento un processo contro gli italiani è in corso in tutto il mondo, o per lo meno in quei paesi come la Svezia, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, dove Ingrid ha i suoi maggiori sostenitori e Rossellini i critici più implacabili.
All’estero, però, in questo momento non ci si limita a fare un processo all’italiano come marito, ma all’italiano come amante. Dicono che siamo vanitosi, volubili, egoisti, superficialmente sensuali, capaci di vedere in una donna solo un elemento utile per riaffermare la nostra supremazia. Nel caso di Rossellini, si fanno ipotesi anche molto più dure e si dà un particolare valore al contenuto economico che ebbe il suo matrimonio con una delle più belle e finanziariamente redditizie donne del mondo. C’è chi ha voluto vedere nel regista italiano una specie d’impresario che s’attacca alle sottane d’una donna di teatro per vivere nell’alone della sua gloria e interessato ai suoi guadagni. È un’interpretazione ingiusta che non regge alla prova dei fatti. Da essa viene fuori un ritratto di Rossellini che non rassomiglia affatto all’uomo geniale anche se pronto a qualsiasi disordine, di cui noi, in questo stesso numero a pagina 8-9, tratteggiamo un ritratto più veridico.
Il processo al marito italiano invece è ancora da fare e dovremmo farlo noi italiani concedendoci cinque minuti di sincerità. Per quello che riguarda invece l’atteggiamento vanesio che molti di noi assumono nei confronti delle donne, la risposta l’ha già data uno scrittore scomparso troppo giovane, Vitaliano Brancati, in uno dei suoi libri migliori: Il piacere, edito da Bompiani nel 1946.
Vediamo invece quali sono gli effettivi difetti del marito italiano. Il maggiore, a nostro modo di vedere, consiste nel diverso atteggiamento che egli assume verso la donna amata prima e dopo il matrimonio. Questo deriva da un’altra circostanza particolare. L’uomo italiano, quando non ha a che fare con una prostituta o con una donna da cui comunque può trarre facile piacere, avvicina le persone dell’altro sesso subdolamente. Egli divide infatti il mondo femminile in due parti. Da un lato le donne mercenarie o facili; dall’altro le donne con le quali non può avere il più piccolo flirt senza lasciar intravedere la possibilità d’un matrimonio. L’italiano è figlio del costume italiano per cui una donna che ha avuto relazioni intime prematrimoniali trova difficoltà a contrarre un matrimonio. Si stabilisce così fra l’italiano giovane e la nubile, che ha fama di buona moralità (e questa fama consiste soltanto nel fatto ch’essa non ha mai avuto rapporti con altri uomini), una specie di duello. Alla donna che continuamente oppone, magari ostentandola senza pudore, la sua purezza fisica, l’uomo risponde con l’inganno, dicendo d’avere intenzioni serie anche quando cerca di non impegnarsi ancora. La conclusione spesso è il matrimonio, sia che l’italiano abbia ottenuto con la frode ciò che la donna negava, sia che non l’abbia ottenuto. Nel primo caso sarà un matrimonio di riparazione, quasi sempre imposto dalla donna; nel secondo un matrimonio che solo superficialmente sembrerà d’amore.
Le nozze
In Italia cioè, contrariamente a quanto si crede, il matrimonio è di rado un’associazione tra due persone che oltre ad amarsi scoprono d’essere fatte l’una per l’altra, d’avere gusti ed idee comuni, di completarsi vicendevolmente. Questo può avvenire in paesi in cui un certo margine di libertà sessuale fa sì che tanto l’uomo quanto la donna non vedano nel matrimonio solo un mezzo per soddisfare una infatuazione sessuale.
Così, succede che il marito dopo il matrimonio cambi. La famiglia non è per lui un’associazione in cui le parti che la compongono hanno uguali diritti, bensì un istituto astratto con le sue regole e, soprattutto, con un senso particolare dell’onore a cui solo una delle parti deve sottostare. A dimostrazione di questo basterebbe citare un piccolo episodio. La sera di domenica scorsa, durante la trasmissione televisiva di Telematch, Enzo Tortora, tra l’altro, pose ai coniugi Costanzi, i quali s’erano presentati per il piccolo concorso delle “Anime gemelle”, attraverso il quale si cerca di stabilire il grado di affinità e di reciproca conoscenza stabilitosi tra due sposi dopo molti anni di matrimonio, questa domanda: «In una famiglia è preferibile il benessere, l’armonia o la fedeltà?». L’uomo, un romano robusto, alto più della media nazionale, con un paio di baffi che lo fanno rassomigliare a Guareschi, non ebbe dubbi e rispose: «La fedeltà». La medesima risposta dette la donna (isolata nell’apposita cabina in modo che non udisse quanto rispondeva il consorte) alla medesima domanda. Perché i coniugi Costanzi risposero con tanta sicurezza? Perché alla maggior parte degli spettatori la loro risposta parve ovvia? Perché un italiano non potrà mai rispondere, nemmeno per scherzo, che a suo giudizio alla felicità d’una famiglia occorre soprattutto il benessere o l’armonia. Non lo può fare perché qualora desse una simile risposta si considererebbe disonorato e non la può dare perché la fedeltà a suo modo di vedere rappresenta il carattere essenziale del matrimonio.
A questo punto però occorre un chiarimento. La fedeltà è considerata l’elemento principale del matrimonio non solo da noi. La sua importanza è riconosciuta da tutti i popoli civili; solo tra gli eschimesi e tra i selvaggi d’alcune popolazioni tropicali, la moglie è un oggetto che si può offrire all’ospite di riguardo. Ma la fedeltà, per l’italiano, a differenza per esempio di ciò che succede nei paesi anglosassoni, è un bene unilaterale.
Maschilità
Ma ritorniamo a valutare le conseguenze che derivano fatalmente da un matrimonio spesso contratto quasi incidentalmente, cioè o per riparazione o per ottenere ciò che una donna volontariamente illibata aveva negato. In Italia, l’uomo dopo i primi tempi si considera quasi sempre obbligato a modificare il suo atteggiamento nei confronti della donna. Le sollecitudini del corteggiatore non gli sembrano più necessarie. Anche quando il matrimonio ha aggiunto tenerezza all’amore (e talvolta questa cresce fino a sostituirsi a quello), l’uomo crede sia suo dovere sottolineare, ogni momento, il predominio a cui pensa d’aver diritto. Al marito italiano quindi ripugna fare la corte alla propria moglie. Gli sembrerebbe di pagare un tributo per qualcosa che gli spetta per grazia di Dio e per volontà della Nazione, cioè della legge. Ossessionato dal bisogno di riaffermare continuamente la sua mascolinità preferisce la compagnia di amici del suo sesso, ed il giorno in cui accetta anche quella delle amiche della moglie crederà suo dovere iniziare con esse la piccola schermaglia del corteggiamento.
Questo ritratto di marito italiano è tratteggiato un po’ sommariamente e corrisponde ad un uomo medio in cui s’incontrano alcune caratteristiche del Sud con altre proprie del Nord. Qualche miglioramento negli ultimi tempi c’è stato, specie nella classe media dei professionisti che, ormai sostituendo le vecchie aristocrazie, è il modello a cui si uniformeranno a poco a poco gli altri ceti. Il marito italiano, specialmente in alcune regioni e soprattutto nelle città più grandi, comincia ad ammettere d’essere amico, oltre che l’amante, della donna che ha sposato. I casi di gallismo casalingo diventano sempre più rari. L’atteggiamento, un tempo scandaloso, dei padroni verso le domestiche è mutato. Il cameratismo che si stabilisce tra l’uomo e le amiche della moglie limita la pericolosità della schermaglia amorosa. Però il motivo della gelosia come difesa della fedeltà unilateralmente intesa esiste ancora. Dovremmo concludere che l’italiano cattivo marito finisce sempre con l’avere una cattiva moglie. È una conclusione a cui non è giusto arrivare. La verità è che l’italiano è un cattivo marito nella misura in cui nello stesso tempo è un buon figlio ed un buon padre. I legami materni infatti non s’esauriscono col matrimonio. Una giovane moglie non sarà mai capace di costringere il marito a romperli. Potrà farlo più tardi anche se la suocera è viva, quando il marito vedrà nella compagna della sua vita, ormai stanca e non più giovane, una creatura molto simile a sua madre. Allora ci sarà nel matrimonio una specie di ritorno di fiamma. Perfino uomini che, parallela a quella matrimoniale, ebbero un’altra vita, tornano alla moglie: ma se c’entra l’amore, vi prevale il bisogno filiale di protezione femminile.
Lo stesso può dirsi dell’italiano come padre. Quando avrà figli egli sublimerà ancora di più dentro di sé l’istinto della famiglia. Ai suoi occhi, l’esistenza d’un figlio richiede un continuo e magari doloroso sacrificio. Ne deriva una situazione in cui le manifestazioni affettive sono forti, ma in cui c’è anche una buona dose di inutile pena se non di teatralità. L’uomo italiano, che nei rapporti con la moglie ha sempre ceduto alla forza delle abitudini e degli istinti, di fronte ai figli molto spesso recita. Questo è un tratto caratteristico della nostra vita contemporanea, l’effetto d’un incontro fra due tipi d’affettuosità diversa. Dal Sud sale l’affettuosità patetica e piena di trepidazione dei padri meridionali; dal Nord, e soprattutto dalla Valle padana, dove ancora s’avvertono gli effetti del sangue gallico, scende l’affettuosità dai padri settentrionali: robusta, piena d’ambizioni sociali, propria di uomini che affidano ai figli il compito di quelle rivincite sociali che li compenseranno di oscure umiliazioni. In mezzo, sta il difetto d’affettuosità familiare che è una delle caratteristiche essenziali dei toscani. Ormai nemmeno il loro antico cinismo li difende più… A questo punto non ci sarebbe altro che da tornare a Roberto Rossellini. Corteggiò molte donne, le amò, ebbe molti figli ed oggi è considerato uno dei peggiori mariti ed uno dei migliori padri che ci siano. Il suo ideale sarebbe una bella tavolata, una volta all’anno: lui a capotavola con a destra Ingrid e a sinistra la prima moglie, Marcella De Marchi, ed intorno i figli, tanti figli da vezzeggiare e da abituare male perché anch’essi possano essere un giorno pessimi mariti e padri affettuosi.
Dopo aver conosciuto nell’ultimo decennio numerose vicissitudini, tra cui ripetuti cambi di direzione e anche di proprietà (adesso appartiene al Gruppo Ludoil Energy della famiglia Ammaturo e dal 31 maggio 2024 è diretto da Emilio Carelli), «L’Espresso» ha festeggiato i settant’anni di vita con un ampio restyling del sito, digitalizzando l’archivio e creando in particolare una sezione dedicata alle copertine storiche.


